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Stylianos Harkianakis, Arcivescovo d'Australia

Dogma e Autorità nella Chiesa

Phronema 12/1997, pp. 8-23. Traduzione di Pietro Chiaranz


Le nozioni diverse del termine dogma

Il termine “dogma” (dal verbo doko che significa “penso”), ha un’origine pre-cristiana. Esprime una vincolante decisione o una clausola di carattere etico-filosofico o socio-politico. La sua validità dipende direttamente dalla fedeltà e dalla competenza dell’autorità che la pronuncia, per la qual ragione essa viene riferita a tale autorità (che può, ad esempio, essere un determinato filosofo o un legislatore, una determinata comunità filosofica o religiosa, un governo statale, ecc.). Con l’introduzione di tal termine nel vocabolario e nella vita della Chiesa cristiana, il significato è divenuto più ricco, come vedremo, e questo ha sviluppato gradualmente significative differenze (1). Queste differenze sono state qualche volta così fortemente influenzate da altri significati che la formazione d’un termine totalmente nuovo si giustificava, per poter esprimere [senza ambiguità] un concetto quasi completamente diverso.

Nel cristianesimo si sono imposti almeno quattro chiari distinti ambiti di significato e di utilizzo della parola dogma. Gli ambiti non sono naturalmente paralleli l’un l’altro e sono nati e si sono sviluppati per ragioni storiche o psicologiche. Oggi sono una realtà incontestabile che può determinare una considerevole confusione.

1. Il primo e più profondo significato del termine dogma è menzionato negli Atti degli Apostoli quando viene descritto il sinodo Apostolico chiamato per decretare “le decisioni (dogmata) raggiunte dagli Apostoli e dagli anziani che erano in Gerusalemme” (At 16, 4).

Il fondamentale termine “raggiunte” è particolarmente significativo dell’essenza del dogma come punto di cristallizzazione dove si incontrano due elementi: da una parte la volontà di Dio che si rivela e, dall’altra anche se la sua importanza è secondaria, la coscienza della persona d’essere salvata all’interno dell’ “obbedienza alla fede” (Rm 1, 5). Vedremo sotto quest’aspetto che la caratteristica “Divino-umana” dell’essenza del dogma è una conditio sine qua non per la comprensione ortodossa della salvezza, come viene lungamente espressa nell’insegnamento della Chiesa riguardo alla sinergia.

Dogma significa, allora, una generale accoglienza dell’insegnamento “decretato” dai capi della comunità cristiana sotto la guida dello Spirito Santo che, secondo la promessa fatta da Dio, mantiene sempre la fede nella Chiesa indicandole “la pienezza della verità” (Gv 16, 13). Questo è evidente nella costante convinzione e nel diretto riferimento a Dio da parte di chi presiede, rinvenibile nella nota espressione “è sembrato buono allo Spirito Santo e a noi”. Quando il termine dogma viene posto nel suo genere plurale, si intendono le individuali ed assiomatiche verità della fede cristiana, i cosidetti “articoli di fede” che, connessi in un unico insieme organico, comprendono l’intera coscienza della Chiesa. Inoltre, quando parliamo della “coscienza della Chiesa” non dobbiamo mai dimenticare che questa è la “memoria della Chiesa” (2) la quale non è un prodotto del tempo, diversamente dalla “coscienza ecclesiastica” che non è altro che la riflessione dell’insegnamento della Chiesa nella coscienza del singolo credente (3). La memoria della Chiesa è una dinamica stabile, costante e spirituale mantenuta incessantemente dal Logos divino il quale “inseparabilmente” e “senza divisione” diviene umano e dal Consolatore che rimane eternamente in essa.

È chiaro che la memoria e la coscienza della Chiesa include e mantiene ogni cosa che Dio si è piaciuto di rivelare all’umanità per la sua salvezza. Qualunque cosa che sia estranea alla relazione con la vita eterna e la salvezza non può essere propriamente descritta come un articolo di fede. Le verità rivelate da Dio all’umanità sono generalmente divise in tre categorie:

a) riguardo all’increato Dio (teologia);
b) riguardo al mondo creato (cosmologia);
c) riguardo alla relazione tra il creato e l’increato (soteriologia).

L’insieme di queste verità salvifiche sono descritte nel Nuovo Testamento come il deposito della fede che viene “affidato” (1 Tim 6, 20), esponendo con ciò chiaramente che quanto viene coinvolto non riguarda una scelta recente, una conoscenza convenzionale o provvisoria ma, piuttosto, un unico fisso e irriducibile tesoro. Questo tesoro viene conservato per opera di Dio nella Chiesa come un deposito di estremo amore per l’umanità, per la salvezza di tutti i credenti. Il fatto che questo tesoro inapprezzabile ed insostituibile non possa essere definito e descritto nella forma d’una completa “codificazione” è piuttosto ovvio, se osserviamo particolarmente quanto dice l’Apostolo Paolo per il quale in questa vita “conosciamo parzialmente e profetizziamo parzialmente” (1 Cor 13, 9).

Il compendio divinamente ispirato di questo tesoro è fondato nel Credo Niceno, cosicchè il fedele può discernere tra “favole da vecchie comari” (1 Tim 4, 7), “filosofie ed empie falsità” (Col 2, 8) come pure tra le verità che sono utili in questo mondo ma che non sono di alcun significato al fine della nostra salvezza. Gli articoli contenuti nel Credo presentano i dogmi maggiori della Chiesa che, quando sono propriamente studiati dalla teologia ecclesiastica nella loro organica relazione e nella loro corretta coesione, possono essere ulteriormente divisi in verità assiomatiche ed individuali. Qualora siano presupposti o conseguenze dei dogmi centrali vengono fissati gli articoli di fede (4).

Da quanto è stato detto, emerge l’esistenza di una chiara differenza nella nozione stessa del dogma. Da una parte abbiamo delle verità evidenti per loro stesse, verità seminali donate direttamente dalla divina rivelazione, dall’altra, le verità inferite o le posizioni assiomatiche derivate. Contrariamente a ciò, quando parliamo dei dogmi della Chiesa, manteniamo un’identica indiscriminata percezione di essi, conoscendo che la nostra ortodossia e ortoprassi dipende da loro e che, contemporaneamente, essi garantiscono la nostra salvezza spirituale. Per questa ragione la Chiesa che cura il gregge insegna i dogmi generali quotidianamente ed edifica il popolo di Dio non solo con parole formali di istruzione e con i relativi sermoni, ma anche attraverso tutti gli atti pastorali omologizzanti che, naturalmente, superano infinitamente ogni capacità oratoria.

Il termine “dogma” di primo acchito può apparire soltanto una verità teoretica ed estranea [al vissuto umano]. Esso, in realtà, viene incarnato in un certo tempo e in un certo luogo dal popolo di Dio come una “forma” e un “modulo” di espressione in tutti gli aspetti della vita, come un “modo di pensare”, un “logos e una praxis”, un “costume e un carattere” o, in genere, come un “modo di vivere”. È chiaro allora che, con tale spettro di espressioni nella Chiesa, il dogma è dichiarato e parimenti confessato attraverso il silenzio o la perseveranza fino al martirio. Allora esso diviene la testimonianza di fede più eloquente. Se il dogma non si fosse incarnato in ogni epoca nella maniera con la quale il Dio invisibile si è incarnato, il tesoro di fede sarebbe apparso come un prodotto monofisita, come una venerabile reliquia nell’archivio della Chiesa, come un guscio vuoto, una sterile forma e una lettera morta, piuttosto che come un’utile e trasformante soffio di vita. Inoltre un tale immiserimento avrebbe senz’alcun dubbio evidenziato un discredito di quanto ha affermato san Paolo e su cui si può devotamente teologizzare e credere: la parola di Dio rimane per sempre “vivente, potente e più affilata di una spada a doppio taglio” (Ebr 4, 12).

2. C’è un altro significato più specialistico del termine “dogma”. In base a tale significato non ci si riferisce a tutte quelle verità di fede continuamente predicate e testimoniate con tutti i mezzi disponibili nella Chiesa, ma solo alle verità fondamentali che sono state trionfalmente ed ufficialmente formulate dai Sinodi ecclesiastici, codificate in note “definizioni”, proprio per essere state incomprese o fraintese a causa di “altri insegnamenti”. Queste asserzioni ecclesiastiche dogmatiche hanno, almeno caratteristicamente, un’autorità maggiore essendo voce diretta ed incontrastata del sinodo che esprime ufficialmente la coscienza della Chiesa. Comunque, siccome il carattere trionfante delle formulazioni potrebbe impressionarci, a volte possiamo sfortunatamente trascurarle o non capire assolutamente un altro fatto molto importante: le formulazioni degli insegnamenti ecclesiastici pronunciate nei sinodi possono in un certo senso essere “inferiori” all’insegnamento quotidiano non ufficiale che, com’è stato già menzionato, viene confessato “in molti modi e maniere”. La formulazione del sinodo definisce i “limiti” — oltre i quali c’è l’implacabile “anatema” — mentre per la sua natura propriamente polemica, è antitetica ed esclusiva alle affermazioni di opinioni opposte o a espliciti dubbi. Al contrario nell’insegnamento pastorale quotidiano, che non è ufficiale ed è condotto con “semplicità di cuore” (Atti 2, 46) come avviene nel dialogo, si ha apparentemente un carattere più comprensivo ed inclusivo. Tale stile è più filantropico essendo diretto a tutti con amorosa cura ed attenzione per non escludere alcuno, almeno nelle fasi iniziali.

Siccome i decreti sinodali contengono solo la porzione di verità che deve essere promossa ed imposta — attraverso frasi che mantengono più o meno una logica coerenza — al fine di prevenire le deviazioni e incoraggiare la correzione, l’istruzione pastorale quotidiana non è confinata o predeterminata da ciò che viene fissato. Non è vincolata nel linguaggio impiegato e nel tempo da rendere impossibile una riconsiderazione dello stesso tema in una nuova prospettiva e con una terminologia più appropriata, avendo in ciò un approccio più mistico, potremmo dire, visto che la verità di fede ricevuta nel mistero rimane ineffabile nella sua essenza (5). Se questo significativissimo, ma spesso ignorato, parametro con il quale si ricevere la parola Divina della rivelazione non viene propriamente apprezzato, per la teologia sussiste sempre il serio pericolo di trasformarsi unicamente in un’impresa razionale di pensiero, in una ricerca filosofica piuttosto che in una ricerca niptica (6). D’altra parte, se non dimentichiamo quest’importante “differenza”, avremo allora una migliore posizione e un più alto successo nel superare le tentazioni de “l’albero della conoscenza del bene e del male” (Gen 2, 17). Così anche le parole del maggiore dei teologi, l’Apostolo Paolo, risplenderanno di pieno onore e validità: “abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché l’eccellenza di questa potenza possa essere di Dio e non nostra” (2 Cor 4, 7).

Il teologo ortodosso deve ricordare la primaria funzione che i decreti dei Sinodi Ecumenici o dei Concili hanno in ogni tempo. In tal maniera il loro carattere protettivo non è incompreso e non degenera in un assolutismo irriverente su ciò che è relativo, nel cui caso si cadrebbe nella forma peggiore di idolatria. I “Decreti” significano un “posizionamento di confini” o una “recinzione” intellettuale, perché la mente non possa valicare i limiti certi, ma essere piuttosto guidata sul vero percorso dove scorrono le acque della vita. Questa direttiva indica solo di possedere un’inalienabile sacralità e un carattere rassicurante per il fedele — sia per la singola persona che per il loro insieme — se non diviene una restrizione o un ostacolo per una conoscenza più profonda delle sacre parole della rivelazione; parole che, giorno e notte, costituiscono la primaria preoccupazione del credente, nella ricerca della misericordia divina quand’egli si intrattiene con Dio, com’è caratteristicamente espresso nella maggior parte dei testi della liturgia funebre: “Sono tuo: salvami, perché ho cercato il tuo volere” (Sl 118, 94).

Comparando le “delibere” sinodali con l’insegnamento pastorale non ufficiale si potrebbe naturalmente obiettare che, nel primo caso, avendo il risultato di deliberazioni e di decisioni sinodali, abbiamo un carattere collettivo che garantisce la presenza e la guida del Paraclito (Mt 18, 20) mentre, nel secondo, avendo normalmente l’esercizio di una sola persona — pure se fosse un Vescovo — non viene offerta la stessa garanzia di un’operazione infallibile e di un insegnamento attendibile come sopra indicato.

Di primo acchito quest’obiezione pare giusta e forte. Se la consideriamo con più lucidità e maturità, rinveniremo una grande cautela per impedire l’assolutizzazione di posizioni essenzialmente relative che, in ogni caso, sono valide solo sotto determinate condizioni. Non deve essere dimenticato che, se è vero che una persona — pure se fosse un Vescovo — può facilmente fuorviarsi nell’insegnamento delle verità di fede, similmente non è impossibile o improbabile per un intero sinodo sviarsi dallo stesso compito, se esso desidera abbandonare schiettamente l’illuminazione dello Spirito Santo, disaffezionato da motivi contingenti e da debolezze umane. Queste condizioni hanno storicamente condotto ai cosidetti “sinodi di ladri”.

Inoltre, è impossibile sapere in anticipo quale sarà la qualità e le conseguenze di un determinato sinodo. La sua valutazione avviene sempre dopo e con il medesimo criterio utilizzato per valutare l’insegnamento di ciascun pastore (7).

Perciò, insegnando la verità di fede, il singolo può avere la stessa assistenza sopra ricordata nel credere rettamente, se costui o costei lotta in buona coscienza per rimanere in comunione imperturbata, spirituale e concorde con il Corpo della Chiesa e specialmente con il phronema della Chiesa dei Padri (consensus patrum). Nell’analisi finale, dobbiamo ammettere che, pure in quest’esempio, la forza motivante non è il fattore umano, malgrado il numero delle persone, ma piuttosto l’assistenza che proviene dal Paraclito, che è in sintonia con la purezza e la l’audacia del phronema stesso. È perciò che nella Chiesa viene detto e creduto che “lo Spirito soffia dove vuole” (Gv 3, 8).

Proprio come la “Legge” dell’intera Economia Divina “nostra tutrice e accompagnatrice a Cristo” (Gal 3, 24) non è stata distrutta neppure dallo stesso Dio che “non è venuto a distruggere ma portare a compimento” (Mt 5, 17), così le “Delibere” dei Concili Ecumenici rimangono sempre in pieno valore e a loro non viene mai meno l’onore dovuto. Ciò non significa che esauriscono la verità, proprio come la Legge non esaurisce la Grazia che non è assolutamente identificata con la Legge stessa (8).

Se non accogliamo questa relazione tra l’insegnamento regolare e continuo da una parte e la formazione irregolare del dogma nella Chiesa dall’altra, faremo certamente un’ingiustizia e distorceremo seriamente entrambe queste espressioni, doni ed illuminazioni del Paraclito. Verrebbe pure compromessa la nozione fondamentale di comunione nello Spirito Santo che non cessiamo mai di chiedere nella Divina Liturgia. Così verrebbe sacrificato quanto domandiamo in una preghiera liturgica sintesi d’ogni altra preghiera: “Avendo chiesto l’unità della fede e la partecipazione allo Spirito Santo, raccomandiamo noi stessi gli uni gli altri e tutta la nostra vita a Cristo nostro Dio” (Litania della Divina Liturgia).

Per mostrare in forma più chiara la profonda ed organica relazione tra queste due vie di insegnamento e di mantenimento del dogma nella Chiesa, prenderemo un esempio dalla semplice vita quotidiana. Proprio come i lampioni — posti per illuminare le vie che i concili stessi avevano già segnato a beneficio dei locali residenti e per facilitare il cammino di chi si muove nel buio — non possono oscurare o degradare il valore di quelle strade che sono state fatte prima della loro installazione, così le verità dogmatiche formulate nei Decreti sinodali non possono e non devono in alcun modo oscurare le verità della parola di Dio che sono seminate nell’insegnamento quotidiano della Chiesa per la santificazione e la salvezza del mondo.

3. Veniamo ora al terzo significato del termine dogma. Attraverso lo studio regolare e continuo, l’insegnamento e l’esperienza della parola di Dio, è ovvio che, a seconda dei doni dello Spirito Santo e delle necessità di ciascuna epoca, al fedele saranno continuamente posti nuovi dettagli o aspetti dell’immutabile divina volontà rivelata. Tali aspetti permettono alla divina volontà d’essere riconoscibile, applicabile ed effettiva in ogni periodo storico dell’Economia Divina.

Ad esempio il dogma trinitario è, prima di tutto, quanto la Chiesa, partendo dalla Sacra Scrittura, insegna sul Dio trinitario nel Credo e nei relativi Decreti sinodali. Inoltre questo dogma è caratterizzato dal lavoro dell’intero corpus delle opere teologiche e, strettamente parlando, non è stato assolutamente chiuso o completato da elementi vincolanti. Al contrario è nutrito e continuamente arricchito da loro, in tal modo che lo studio del dogma trinitario durerà fino alla fine dei tempi. Questo studio è paragonabile ad un elenco di dissertazioni da aggiungere continuamente ad un’esistente bibliografia. Nel contesto più ampio del perpetuo compito teologico della Chiesa, sono inclusi anche i cosidetti theologoumena, vale a dire le opinioni teologiche. Tali opinioni non presentano nulla che, ad un primo sguardo, possa essere biasimevole purché non abbiano la maturità o l’attestazione che permetterebbe loro di essere considerate, senza qualche rischio o esitazione, come la posizione ufficiale della Chiesa su qualche problema particolare.

La caratteristica dinamica della “conoscenza di Dio” da parte del teologo viene allusa da Cristo quand’Egli chiede al Padre la “vita eterna” per i propri discepoli e non la qualifica come una conquista momentanea che avviene una volta per tutte, ma come un processo in continua ascesa, un processo di iniziazione e di santificazione: “Questa è la vita eterna: che possano conoscere Te, unico vero Dio, e Gesù Cristo che hai inviato” (Gv 17, 3). In questo passo la forma greca del verbo “conoscere” non indica una conoscenza automatica e puntuale ma, piuttosto, qualcosa di continuo e progressivo che avviene prima di noi, qualcosa che coinvolge tutta la portata de “la conoscenza della Tua gloria inaccessibile” (Preghiera dell’Apodipnon).

Riassumendo i tre significati del termine “dogma” menzionati fino ad ora possiamo delineare i quattro punti seguenti:

a) In primo luogo, i dogmi sono tutte le verità insegnate dalla Chiesa in “vari tempi e in modi diversi” (Eb 1, 1) e sono necessarie per la salvezza di tutte le genti. Essi possono includere delle verità che non sono state dichiarate ufficialmente dogma nei sinodi, sia per la loro quantità sia perché non sussisteva una ragione sufficiente per farlo.

b) In secondo luogo, i dogmi sono verità di fede che si sono formate straordinariamente, dipendendo da importanti “Decreti” di Concili Ecumenici la cui validità viene continuamente salvaguardata. Essendo in ogni modo discordi dalla caduca logica umana, i decreti si sono scontrati con obiezioni ed animosità sia all’interno che all’esterno della Chiesa. Per salvaguardare l’integrità della fede e la salvezza delle anime, le formulazioni conciliari si sono opposte o hanno rigettato le credenze contrarie.

c) In terzo luogo i dogmi sono area di specializzazione del compito teologico ecclesiastico. Come parti speciali della Dogmatica Ortodossa, presentano in ciascuna di esse determinate problematiche teologiche.

d) Un quarto significato ed uso totalmente diverso del termine dogma, è rinvenibile nel greco moderno, particolarmente nell’ambito del movimento ecumenico, come sinonimo della parola “denominazione”.




NOTE

1. Per uno studio lessicografico sullo sviluppo del termine “dogma”, vedi N. XEXAKIS, Forword to Orthodox Dogmatics, Atene 1993, pp. 167 ss.

2. Principalmente attraverso gli studi ecclesiologici del nostro secolo, è stato estensivamente trattato il parallelismo mistico tra Theomitor (Madre di Dio) ed Ecclesia (Chiesa), come pure il parallelismo tra Madre e Vergine (espresse nel culto ortodosso come “Mitroparthenon cleos” vale a dire, “gloria della Vergine Madre”). Perciò come la Theotokos ha posto attenzione all’insegnamento di Dio “meditando queste parole nel suo cuore” (Lc 2, 19), così allo stesso modo, la Chiesa, avendo ricevuto in affidamento da Dio e dagli Apostoli il tesoro della fede, mantiene la definitiva verità su Dio nelle profondità della sua coscienza e della sua memoria definita e fermamente purificata dal Paraclito. Così, secondo le necessità del fedele, da quest’inesauribile tesoro vengono tratte “cose vecchie e cose nuove” senza mai impoverirlo, per l’edificazione del Corpo di Cristo e per permettere ai santi di compiere un’opera di ministero (Cfr. Ef 4, 12).

3. Riguardo a questa distinzione estremamente significativa, cfr inoltre lo studio dell’autore, The infallibility of the Church in Orthodox Theology, Atene, 1965, p.69 e ss.

4. Ibid., p.78 e ss.

5. Nei manuali di dogmatica ortodossa la testimonianza di san Basilio ha sempre una posizione centrale, per cui “abbiamo i dogmi e la predicazione nella Chiesa. Gl'insegnamenti principali ci giungono attraverso la forma scritta, mentre la il contenuto della predicazione l’abbiamo misticamente ricevuto dalla Tradizione Apostolica. Entrambi hanno eguale valore per la pietà” (come ha indicato C. Androutsos in Dogmatica, Atene 19562, pp. 6-8) .L’enfasi posta sul modo con il quale il fedele accoglie e confessa le verità di fede sempre “nel mistero” presenta, di fatto, il più puro criterio con il quale dobbiamo avvicinarci al problema della relazione tra fede e conoscenza in ogni periodo storico.

6. Precisamente per questa ragione, consideriamo il titolo “Dogma e pensiero razionale” in una sezione del lavoro dogmatico di C. Androutsos il quale tratta la relazione tra teologo e dogma, come totalmente inadeguata. Per cui non è solo attraverso il pensiero razionale che il teologo si avvicina al dogma nella Chiesa, ma piuttosto, attraverso la sua intera coscienza, in mistica solidarietà con gli altri membri del corpo della Chiesa. Perciò sarebbe stato più corretto che quella sezione avesse avuto il titolo “Il Dogma e la coscienza del fedele".

7. Cfr. op.cit., The Infallibility of the Church in Orthodox Theology, p. 140 e ss.

8. Riguardo alla relazione tra legge e grazia, vedi p. 51 e ss. nello stesso lavoro.

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