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Prof. Piero Scazzoso

A proposito dei fondamenti Platonici dell’icona


Capitolo 3

3) Anzitutto, secondo il discorso platonico relativo al bello-buono, tutta l’ arte da proporre alla polis è in funzione spirituale e non puramente estetica; tra il bello che tocca e commuove la psiche o i centri affettivi, ed il bello che traluce dall' esemplare del bene-virtù-felicità, vi è una grande differenza; è il genio di Piatone che ha colto per primo tale differenza e che ha lasciato nei secoli l’influsso di una problematica aperta, specie per ciò che riguarda il rapporto arte-religione. La discussione che il filosofo fa concretamente sul canto e sulla musica, getta una viva luce sull' intero campo dell' arte. La musica possiede un valore preminentemente psicagogico in quanto stimola tutti i sensi ed i moti affettivi; ma, ed è ciò che più interessa al pensatore greco, essa può anche essere apportatice di un bello spirituale, splendore del vero, inscuidibile dal bene, simile ad una forza misteriosa che dispone alla preghiera (4).

Proprio attraverso la musica nelle sue varie forme e nel suo legamento con il canto e con la danza Platone scorge la differenza profonda che esiste tra la psicagogia edonistica che provoca piaceri e dolori intesi come un fine, ossia in una loro autonomia, e la spiritualità, l’ armonia interiore dell anima roveniente da una misura divina.

In questo ultimo caso l’ arte, in quanto dotata di più immediata efficacia di penetrazione, favorisce il concentrarsi ed il ridursi della mente dal molteplice all' uno ed aiuta al raggiungimento del fine supremo: la contemplazione (θεωρία) del divino, da cui tutto l’ umano dipende. Deve quindi trattarsi di un' arte particolare, approvata dai saggi della città e regolata da leggi pportune e che trascenda i sumplici valori psicologici. La emozione che dall' arte deriva, o, per dirla con parola plotaniana «!' attratto» (ολκή) paragonabile ad un incantamento magico,è ammessa soltanto in funzione di un approfondimento della vita dello Spirito; è infatti miglior cosa per tutti essere governati da ciò che è divino e spirituale e non da ciò che rimane solo immanente alla natura umana (Rep. IX 590 d). E' allora opportuno eliminare l’ incanto della poesia, se esso produce turbamento nell' anima (Rep. X 605d).

Nella sua disamina sull' arte Piatone ha posto le basi, per i secoli futuri, come si è detto, di una distinzione decisiva per ciò che riguarda la vita dello spirito: ha messo da lato la gioia esistenziale individualistica, tutto l’ eccesso e l’ abuso della creaturalità, tutta la seduzione prodotta dal bello umano e naturale a favore di una visione molto più profonda dell' uomo nella sua integralità. Autenticamente religiosa è siffatta attitudine a rinunciare a certi valori immediati sul piano umano nella certezza, di arrivare a mete più alte e più edificanti.

Scopo della religione è di rendere sensibili all'animo dei cittadini delle realtà che lo trascendono (5). Il filosofo allora orienta gli uomini verso la contemplazione del cielo, essendo questo il luogo dal quale attingere la cognizione di ciò che è invisibile (Rep. VII 529 d). Cosi tutto l’ ordine visibile non è che un simbolo, una trasposizione che solo l’ esperienza mistica può valicare.

Culto e bellezza sono profondamente uniti in uno, cosi come bellezza e bontà sono sinonimi di adattamento ad un fine di perfetto accordo nella realizzazione di un tutto. Il sentimento religioso nel culto è in gran parte contemplazione di bellezza, spiritualizzazione del gusto. Dietro questo mondo e questa patria, l’ uomo si abitua a cercare un altro mondo, un' altra patria, in cui regnano il bello ed il bene: «cette quête de Dieu à travers les phenomènes, telle est la nouveauté essentielle du platonique et ce qui prepara le mieux les âmes a l’ Evangile» (6).

E' evidente die a tale premessa che distingue la sfera dello psicologico da quella dello spirituale, si è sempre attenuta la creazione iconografica cristiana: è sufficiente accostare una pittura, nata da intendimenti soltanto umani con un' immagine dipinta della chiesa ortodossa per capire, senza possibilità di equivoci, il divario esistente fra le due opere.

In secondo luogo, nel contesto della polis platonica, l’ arte ha un ufficio essenzialmente pedagogico. L' influsso dell' arte, insinuandosi nell'anima del bambino, che è molle a guisa di cera, (Leg. IV 659 d), deve contribuire a formare un futuro uomo perfettamente intonato all' esercizio delle virtù: una scelta di argomenti nobili ed elevati, dice Platone, una realizzazione musicale perfetta, la nobiltà del ritmo tengono dietro all' onestà ed alla limpidezza interiore dell' anima (Rep. III, 400 e).

Il ritmo e l’ armonia possono, se opportunamente regolati, contribuire ad un perfetto tipo di paideia: musica non significa infatti provocazione sensoriale, né indulgenza verso il piacere, bensì stimolo verso le virtù della temperanza, della magnanimità (Rep. Ili 401 d; 402 g), le quali altro non sono che concordia di suoni e di armonie (Rep.IV 430 1).

Il piacevole insomma è largamente trasceso dal bello che si congiunge col vero e con l’ onesto. Anche l’ arte iconografica porta con sé implicito un fine altmente pedagogico: essa abitua chi la guarda al distacco dalle apparenze, al raccoglimento interiore, alla pace dell' anima che si raggiunge col superamento delle passioni e dei vizi, al «digiuno degli occhi»; essa suggerisce attitudini di preghiera, di pietà profonda, di contemplazione della verità divina, a cui misteriosamente allude.

Quali sono le caratteristiche di forma e di stile dell' arte spirituale, come l’ intende Platone? Niente altro che semplicità, misura perfettamente equilibrata delle parti fra di loro e rispetto al tutto, pacatezza aristocratica.

I canti e le poesie, che sone proposte al pubblico della polis, recano tn sé la compostezza dei ritmi, che ben si addicono all' immutabile realtà divina di cui si fanno interpreti; le danze piene di solenne dignità e di moderati movimenti producono, specie con la ἐμμέλεια l’ effetto di una catarsi interiore, di una completa vittoria sul mareggiare delle passioni.

Non diversamente l’ icona elimina, nella snellezza delle sue forme che ricordano quelle degli antichi vasi greci dipinti, ciò che è privo di misura, sfrenato, irruente, selvatico: prevalgono in lei una dignità illuminata, una sicurezza silenziosa, un' armonia divina, aristocratica degli atteggiamenti (7).

La bellezza eterna, riflesso del bene che traluce nella materia impegna l’ anima, secondo Platone, al viaggio verso l’ alto: tutto il sensibile non è che un segno provvisorio che si deve abbandonare in vista dell' incorruttibilità dell' idea; dal simbolo materiale si passa all' immateriale, dal corporeo allo spirituale: tutto il cosmo è realtà inferiore che si deve trascendere da parte di colui che si è veramente dedicato alla filosofia; parimenti gli oggetti del culto assumono il significato di un passaggio dalla realtà terrestre a quella celeste: «onorando queste statue, per quanto inanimate, noi crediamo che i nostri omaggi siano graditi alle vere divinità che esse rappresentano» (Apol. 26, d; Conv. 220 d) (8). L' icona è allo stesso modo uno stimolo al passaggio dalla terra al cielo, ed è per questo che è sempre concepita su due dimensioni in superficie piana; soltanto le due dimensioni servono a dare l’ idea dell'ininterrotta continuità esistente fra il mondo finito e quello infinito.

Platone vede il divino sotto forma di luce e ricchissimo è a questo riguardo il suo vocabolario: l’ iniziato alla visione dell' al di là, giunto al termine della sua salita, si troverà immerso in un infinito oceano di luce; è la luce nella sua immaterialità che offre, secondo il filosofo, una sensazione quasi palpabile di una realtà che trascende la nostra: tutto lo spirituale si raffigura sotto il simbolo della luce. Nell' icona noi non vediamo gli oggetti e le figure in quanto illuminati dalla luce, bensì la misteriosa luce in sé, che, scaturendo dal centro stesso della tavola dipinta, illumina, vivificandoli, gli oggetti e le figure.

Se l’ arte profana è soggetta ai mutamenti suggeriti dalle mode e dalle vicende storielle, avverte Platone, l’ arte - spirituale invece si attiene alle leggi approvate dai capi della città, ispirati dall' alto, leggi che non permettono che piccoli mutamenti: i principi di ciò che è divino eterno, semplice, intangibile rimangono sempre uguali e l’ arte che li rappresenta, che ne propone lo splendore è valida nella misura in cui rimane fedele ali' immutabilità delle sue forme e del suo stile. La forza e l’ importanza della tradizione sono intese da Platone come consuetudine favorevole alla stabilità del carattere e dell' anima del singolo, come anche dei cittadini associati nella polis.

Mai si debbono introdurre novità nelle istituzioni ginniche e musicali; né è lecito cambiare le istituzioni della musica senza che ne consegua anche un mutamento nelle più importanti leggi dello Stato (Rep IV 424 C); nelle danze e negli inni insegnati nei templi e che rappresentano una rilevante parte dell' educazione dei giovani non si possono introdurre novità (Leg. II 656 1), secondo l’ esempio dell' antico Egitto che mantenne intatti per diecimila anni i canoni della sua arte. La ricolta contro la tradizione è nata, per Platone, ad opera dei poeti, i quali pretendono che il giudizio più valido sulle arti belle sia fondato sul piacere che esse suscitano in noi (Leg. Ill 700 d): di tutte le istituzioni religiose, dette norme immutabili che giungono da Delfi, da Dodona, dal Dio Ammone il legislatore non può cambiare nulla (Leg. V 738 c-d). Infine le composizioni adatte a singole solennità religiose, utili alla città in quanto procurano un piacere onesto debbono essere mantenute immutate da parte dei custodi della legge; infatti, partecipando alle stesse gioie in pari modo sempre permettono alla città di vivere bene e felicemente (Leg. VII 816 e). Anche l’ icona, in quanto arte sacra e liturgica obbedisce a determinati principi e perciò non si discosta da un suo proprio stile rappresentativo. L' arte dell' icona, simile a quella dei primi cristiani che affrescavano i muri delle catacombe, dipende dall 'insegnamento della chiesa (9). Il canone da cui l’ artista dipende stabilisce la conformità dell' icona alla Scrittura e definisce in che cosa consista questa uniformità, per poter trasmettere mediante le immagini e le forme del mondo materiale la rivelazione del mondo divino. Nella chiesa orientale la fissazione delle forme artistiche è altrettanto rigida quanto quella del dogma ecclesiastico(10). Nei grandi monasteri dell' Athos e di Studio furono messe per iscritto le tradizioni, il cui contenuto è raccolto nei manuali, a cui l’ ortodossia è rimasta fedele per rappresentare i corpi spirituali opposti ai corpi prichici di cui parla S. Paolo (11).

Tale corrispondenza dell' icona alla Scrittura ed alla predicazione evangelica esclude ogni possibilità di dipingere le icone del Cristo o dei Santi seguendo l’ immaginazione del pittore e rinunciando alla tradizione della Chiesa (12).

Nella concezione platonica l’ arte fa parte delle festività liturgiche della polis: poesia, musica, danza esplicano il loro alto ufficio mettendosi al servizio del culto divino. Nella città viene mantenuto un ordine liturgico di vita sottolineato dall' arte sacra e dalle precise ricorrenze delle varie festività: «la distribuzione dei giorni nei mesi e dei mesi negli anni e anche le stagioni i sacrifici, le feste, occupano un proprio e fisso posto... rendono agli dei glionori a loro dovuti» (Leg. VII 809 d) e inoltre: «ogni festa deve avere i suoi canti propri» (Leg. VII 813 I) (13). In Platone ciò che sottogiace alla trattazione del tema delle feste e della liturgia in genere è l’ idea che la realtà visibile può mettere in condizione di guardare verso l’ invisibile archetipo (Tim. 92 e). Tale significato hanno dunque nella polis le feste e le cerimonie religiose, cioè di essere un punto d' incontro fra il mondo visibile terrestre e quello invisibile ed iperuranio.

Platone pensa che il rito sia un' elevazione morale e spirituale dei cittadini e che lo Stato abbia come fine di celebrare il culto rivolto ad una divinità saggia e provvidenziale; perciò tutta la vita civile è festa e liturgia. Pure l’ icona ha un valore liturgico-ecclesiale ed è perciò strettamente legata allo svolgimento delle cerimonie, dei riti, delle feste sacre. Quanto mai lontana da ogni idealizzazione, come pure da ogni copia della realtà, l’ icona è parte integrante del culto, suggerimento di pregniera, vivente spirito liturgico. Gli eventi individuali della storia religiosa non si devono interndere come avvenimenti di un passato conchiuso, ma come ricorrenti misticamente e come reali di ogni giorno. Il fedele non commemora i fatti della vita del Salvatore, in quanto li vive e ne prende parte attiva; a fare questo è indotto dalla Divina Liturgia che ricapitola e riattualizza tutto il mistero della divina economia (14).

Nelle immagini del culto il tempo in senso matematico è abolito: le persone e gli avvenimenti sacri sono rappresentati in modo da essere resi contemporanei e sembrano estendersi entro un eterno presente. L' arte ortodossa, essendo parte integrante della pietà, dimostra visibilmente che il significato spirituale dell' evento storico rappresentato si è posto al di sopra di un tempo o spazio determinato ed ha acquistato un' estensione ed una durata infinita (15). Dunque le linee piatomene sottogiacenti al discorso iconografico fanno vedere su quale terreno si sia venuta formando la tradizione dell' arte sacra cristiana e quali ideali sostegni quest' ultima abbia ereditato dal pensiero di PLatone. Ma è tempo di stabilire come tutte queste concidenze di fondo conducano verso delle differenze di contenuto altrettanto profonde e, in certi casi, decisive e sostanziali.





Note

4. V. I. Moutsopoulos, La musique dans l’oeuvre de Platon, Paris 1959, p. 264. La musica riesce ad elevare lo spirito fino all' armonia che regna nell' universo. Conoscere tale armonia vuoi dire applicarla a se stessi. Non c' è musica possibile che quella che giustifica la sua esistenza ed il suo scopo con una costruzione ragionata e che soddisfa non i sensi, ma lo spirito.

5. A. Diés, Autour de Platon, II vol. Paris 1927, p. 588.

6. I. Festugière, Contemplation et vie contemplative selon Platon, Paris 1937 p. 457.

7. Gr. Wunderle, Um die Seele... p. 59.

8. Il concetto platonico su citato fa ricordare in anticipo, la frase di S. Basilio riportata dal Damasceno de Fid. Orth. IV, Ply 94,1169A).
9. L. Ouspensky, Essai sur la théologie de l’icone dans l’ Eglise Orthodoxe, Paris 1960 pp. 93-4.

10. E. Benz, Teologia dell’ icona e dell’ iconoclastica, in Demitizzazione ed, immagine «Atti» del Convegno indetto dal Centro internazionale di studi umanistici, a cura di E. Castelli. Padova 1962 p. 199.

11. La Ἑρμηνεία τῆς Ζωγραφικῆς conosciuta più comunemente come Guida della Pittura, di Dionigi di Fuma, monaco e pittore della metà del sec. XVIII riassume e codifica una lunghissima tradizione pittorica, ma si ispira a modelli del sec. XII. Ne esiste una traduzione francese publicata dal Didron col titolo «Manuel d' iconographie christienne». «Paris 1845, e una edizione greca di A. Konstantinides, «Ἑρμηνεία τῶν ζωγράφων ed un' altra di A. Papadopoulos-K e r am e u s, Denys de Phourna, Manuel d'iconagraphie chrétienne accompagné de ses sources principales inédites. St. Peteresbourg 1909.

12. L. Ouspensky Essai p. 163 avverte che nessuno degli archetipi può essere modificato, altrimenti va perduto quel carattere di reale rapporto che sussiste tra immagine e modelle. In Occidente invece l’ arte si adatta di volta in volta alla situazione della chiesa.

13. Dies, Autour... p. 538.

14. K. D. Κalokyris, Byzantine Iconography and Liturgical Time, in «Eastern Churches.Review» I (1967-8) 4 p. 359.

15. Kalokyris, Byzantine p. 360.

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