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Panagiotis Christou

L’insegnamento di san Basilio sul Santo Spirito

Π. Κ Χρήστου, Θεολογικά Μελετήματα 2,
Γραμματεία του Δ' αιώνος, Θεσσαλονίκη, 1975




4. Esistenza eterna dello Spirito

San Basilio, come molti altri Padri greci della stessa epoca, riconduce la teologia ad una triadologia e non sviluppa la triadologia come un prodotto del pensiero filosofico, ma come una verità empirica. Parte dalle ipostasi concrete, attive nel mondo, per raggiungere l'unità di Dio.
Le ipostasi divine si manifestano in diverse maniere e in diversi luoghi ma sono apparse in particolari attività in maniera più totale; il Padre nella creazione, il Figlio nell'opera della rigenerazione e lo Spirito nella vita della Chiesa. Il Figlio e lo Spirito sono venuti nel mondo in un senso reale. Alcuni Padri, come Cirillo di Gerusalemme (26) e Gregorio il Teologo (27) ad esempio, parlano della venuta, o dell'incarnazione dello Spirito. Anche Basilio parla della discesa e della dimora nell'uomo dello Spirito anche se non usa lo stesso vocabolario.
La causalità provoca in Dio la distinzione delle persone che occupano un determinato posto nella Trinità. Il Padre è ingenerato, il Figlio generato e lo Spirito procede (28); i loro attributi distintivi corrispondenti sono la paternità, la filialità e la santificazione (29). Ma dal momento che il termine gennasthai esprime globalmente un modo di derivazione in maniera comprensibile, non è la stessa cosa per quanto riguarda il termine ekporeuesthai poiché tale termine non descrive precisamente l'origine dello Spirito. È questa la ragione per cui san Basilio afferma che lo Spirito procede in maniera ineffabile (30) dal Padre; la processione designa la familiarità e preserva un modo d'esistenza inesprimibile. Tuttavia egli non dubita mai sulla personalità dello Spirito.
In nessuna epoca i Padri, chiunque essi fossero, hanno dichiarato che lo Spirito procede anche dal Figlio. Certi passi di Cirillo d'Alessandria, parlando della derivazione dello Spirito dal Figlio, fanno allusione non alla causa ma alla sua missione; l'intera Trinità partecipa alla sua missione tramite un'energia comune poiché tutte le energie divine sono comuni all'insieme della Trinità. Il fatto che le due ipostasi derivino solo dal Padre crea l'impressione facilmente dissipabile della monarchia dell'ipostasi paterna. Ma le proprietà del Figlio e dello Spirito non sono certo ritenute inferiori a quelle del Padre; esse non sono effettivamente distinte che in rapporto alla causa che deve rimanere rigorosamente unica per evitare ogni specie di dualismo, ma esse non lo sono in rapporto alla natura increata. Le ipostasi non sono prima, seconda e terza; esse sono d'uguale valore - e non numerate -, sono designate dal loro santo nome, un solo Dio, Padre, un solo ingenerato, il Figlio, un solo Santo Spirito. Ogni genere di subordinazione conduce al politeismo. (31)
Queste distinte ipostasi sono legate in tal maniera che alcuna può essere concepita senza le altre e che ciascuna presuppone le altre due. Esse costituiscono tre persone perfette, inseparabilmente unite: "Poiché dov'è presente il Santo Spirito là è anche il Cristo e dov'è il Cristo anche il Padre è presente" (32). In tal modo che chiunque non crede nello Spirito non può certamente credere al Figlio e chi non crede al Figlio non può certamente credere in Dio Padre (33).
In che consiste l'unità delle ipostasi? Prima di tutto essa può consistere nella comune ousia. Secondo Aristotele, ousia può significare due cose: a) quant'è comune a tutti e non può essere percepito che dall'intelletto e b) l'esistenza individuale. In alcune sue lettere, san Basilio impiega due espressioni aristoteliche per definire l'ousia (nel primo senso) e l'ipostasi (ousia nel secondo senso) (34). Di queste categorie non è completamente soddisfatto perché la logica aristotelica esige delle divisioni e delle classificazioni ch'egli rigetta assolutamente perché inapplicabili a Dio. A volte caratterizza le ipostasi come realtà aventi la stessa ousia, homoousios (35). Egli è conforme al dogma niceno ma cerca d'integrare questa nozione nelle strutture della triadologia della scuola di Cappadocia nella quale ousia non si pone ad un livello più elevato rispetto alle persone, come se fosse una sorta di sorgente dalla quale le persone trarrebbero la loro origine.
Il termine ousia, inoltre, infonde di primo acchito l'impressione d'una realtà materiale e creata, benché il suo uso in teologia ne abbia fatto divenire un termine particolare. La maniera con la quale san Basilio evita d'applicare il termine homoousios al Santo Spirito può spiegarsi considerando le sue esitazioni davanti al termine ousia, per le ragioni menzionate e per l'altra ragione che la stessa parola era utilizzata dai pneumatomachi per designare una subordinazione. San Basilio non si serve di tal termine se non quando è assolutamente indispensabile. I suoi principi teologici non gli permettevano d'insistere troppo sull' homoousios. Egli non vuole dare l'impressione che Dio consiste in questa o quell' ousia, perché è incomprensibile e non può essere definito. Non esplica l'homoousios identificando l'essenza e l'ipostasi poiché la persona si confonderebbe, ma distinguendo l'essenza dall'ipostasi, ciò che stabilisce la distinzione delle persone. Così, in quanto ousia, permane l'illimitata e incomprensibile visione di Dio. Per evitare ogni malinteso, san Basilio scarta deliberatamente il termine homoousios per quanto concerne il Santo Spirito, come farà ulteriormente il secondo concilio ecumenico. Secondo quest'ottica, la Trinità non è composta da una pluralità di ousia, ma è costituita da tre persone definite. Poiché le persone hanno il loro valore e la loro individuale dignità - uguale per tutte e tre - il Santo Spirito possiede lo stesso onore delle altre persone della Trinità, egli è homotimos.
San Basilio è più a suo agio quando impiega i termini physis e theotês: "Il Padre, il Figlio e il Santo Spirito hanno la stessa natura e sono un solo Dio"(36). Il Santo Spirito è "una natura divina e santa"(37). Natura è il termine che meglio conviene alla persona perché non descrive la costituzione materiale d'una cosa ma caratterizza il modo d'esistenza.
San Basilio non attribuisce allo Spirito il nome di Dio. Atanasio ha motivato questo rifiuto per la dispensazione dell'oikonomia e Gregorio il Teologo l'ha giustificato per ragioni di prudenza. Ma quest'ultimo a volte è rimasto turbato da tale riserva e gli ha apertamente chiesto fino a quando nasconderà la luce sotto il moggio (38). Altri hanno considerato Basilio progressista per quanto riguarda il punto in oggetto mentre gli ariani lo ritenevano modernista per delle ragioni contrarie. Le opinioni secondo le quali san Basilio ha formulato il suo insegnamento trinitario, sia per ragioni d'opportunismo politico sia per simpatia per gli homeousiani, non sembrano rispondere alla situazione di fatto. Vi sono altre ragioni teologiche importanti. Nel sistema teologico di Basilio, troviamo Dio (= il Padre), Dio da Dio (= il Figlio) e Colui che procede da Dio (= lo Spirito). Non dubita che i tre siano Dio; ma se nomina con logica le tre persone divine, teme d'essere accusato di adottare tre dei perché sarebbe costretto a porli in un certo ordine progressivo: primo, secondo e terzo; egli teme inoltre di distruggere il carattere unico della casualità nella Trinità. Per questa ragione, preferisce dare alle tre persone i nomi che le distinguono: Padre, Figlio e Santo Spirito. Il nome del Santo Spirito significa parecchie cose, tra le altre quella ch'Egli è Dio e ciò rivela che egli accetta l' homoousios. Lo ha chiaramente dichiarato in conversazioni private da quanto ne afferma Gregorio il Teologo (39). Inoltre quanto ha detto sullo Spirito era comunque più di quanto altri facevano. Infatti, altri denominavano il Santo Spirito senza impiegare la formula syn to pneumati nella dossologia. Ma se è molto importante chiamare Dio il Santo Spirito, in certe condizioni anche l'uomo viene chiamato Dio! Ecco perché è molto più importante rivolgerGli preghiere coma ad un Dio.
L'unità delle ipostasi della triade è espressa felicemente dall'identificazione della potenza, dell'energia e della volontà. Esiste una corrente indivisa d'energia tra il Padre, il Figlio e lo Spirito: "Così la maniera di conoscere Dio proviene dall'unico Spirito attraverso il Figlio e va all'unico Padre e, inversamente, la naturale bontà, la santificazione e l'ufficio reale vengono dal Padre attraverso il Figlio unigenito verso lo Spirito" (40). L'attività della Trinità è comune benché certe energie paiano a volte separarsi a causa delle ipostasi. Nella creazione, ad esempio, il Padre è la causa iniziale di tutto quanto è creato nel mondo, il Figlio la causa creatrice e lo Spirito la causa perfezionatrice, ma la sorgente è unica. Senza dubbio nessuna ipostasi ha attività imperfetta in modo da rendere necessaria l'attività delle altre. Si tratta d'una volontà unificata; ciascuna ipostasi ha la volontà d'agire in accordo con le altre (41). Soprattutto l'unità delle ipostasi è espressa dalla loro comune sorgente, il Padre, com'è stato precedentemente detto.
San Basilio caratterizza lo Spirito con una perifrasi, come immagine del Figlio (42), perché in Lui e attraverso di Lui gli uomini vedono il Figlio. Le ipostasi si fanno ciascuna rivelatrice delle altre agli uomini; lo Spirito riflette in Se stesso l'immagine del Figlio, il Figlio quella del Padre. Così l'itinerario della conoscenza di Dio parte dallo Spirito, attraverso il Figlio per arrivare al Padre. Ma nella Trinità non esiste un'immagine dello Spirito che lo rende meno conosciuto rispetto alle altre ipostasi. Il Figlio ha parlato del Padre ed è stato manifestato dallo Spirito che ha parlato nel passato ai profeti come oggi parla alla Chiesa. Nelle scritture troviamo abbondanti testimonianze su queste due persone, il Padre e il Figlio. Inoltre, la loro opera è oggettiva - la creazione del mondo e l'istituzione delle condizioni della rigenerazione dell'uomo - e cade immediatamente sotto i sensi. Quanto allo Spirito la Scrittura lo menziona solo occasionalmente. Senza dubbio egli abita nella Chiesa e si fa conoscere attraverso le sue energie ma l'esperienza spirituale acquisita dagli illuminati è spesso poco precisa e non permette una completa comprensione della sua personalità. Per questa ragione i Padri hanno evitato di precisare le sue origini. Pure il termine di "processione", come abbiamo detto altrove, non dissipa la nostra ignoranza del modo della sua esistenza, ignoranza che san Basilio considera d'altronde come senza importanza (43).
È la ragione per cui, interpretando l'origine del Santo Spirito in termini non biblici, abbiamo proceduto con prudenza: "Poiché è tipico dell'uomo pio non dire nulla sullo Spirito Santo su ciò che le scritture tacciono e questo perché è nostra convinzione che l'esperienza e la comprensione a suo riguardo risiedono per noi nel mondo futuro" (44). Era ugualmente prudente quando caratterizzava lo Spirito come homoousios e come Dio, come abbiamo già detto. La Chiesa ha sempre saputo e ha sempre concepito quest'attitudine di prudenza. Benché abbia composto degli inni allo Spirito non ha composto preghiere che gli fossero rivolte ad eccezione di una sola. Nelle sue preghiere a Dio essa chiama in modo generico lo Spirito Santo utilizzando le espressioni: coeterno, di identico valore, di uguale gloria ed homoousios. L'innologia della Chiesa riflette l'insegnamento di Gregorio il Teologo che, nella sua maniera di presentare la divinità dello Spirito era più ardito mentre le preghiere della Pentecoste riflettono l'insegnamento di Basilio il Grande.





NOTE

* Pubblicato in Etudes Patristiques: Le traité sur le Saint Ésprit de Saint Basile, Verbum Caro vol. XXII (n. 88), pp. 158-171.

26. Catéch. 16, 4; PG 33, 921-924.

27. Oratio 41, 5; PG 36, 436.

28. Epist. 125, 3; PG 32, 549.

29. Epist. 236, 6; PG 32, 884. Loeb, 3, p. 402. De Fide 4; PG 31, 685 ss.

30. Contra Sab. et Ar. et Anom. 7; PG 31, 616.

31. De Spir. Sancto, Cap. 18, 44-47; PG 32, 148-153.

32. Contra Sab. et Ar. et Anom. 5, PG 31, 609.

33. De Spir. Sancto, Cap. 11, 27; PG 32, 116.

34. Epist. 214, 4; PG 32, 789; Epist. 236, 6; PG 32, 884, Loeb, 3.

35. Ibid. 214, 4; PG 32, 789.

36. Epist. 210, 4; PG 32, 773.

37. Epist. 125, 3; PG 32, 549.

38. Epist. 58; PG 37, 116.

39. Oratio 43, 69; PG 36, 589.

40. De Spir. Sancto, Cap. 18, 47; PG 32, 153.

41. Cap. 16, 38; P 32, 136. Cf. anche 8, 21; PG 32, 105. Epist. p. 402.

42. De Spir. Sancto, Cap. 9, 23; PG 32, 109, 26, 64; PG 32, 185. 18, 47; PG 32, 153.

43. Contra Sab. et Ar. et Anam. 6; PG 31, 613.

44. Contra Eun. 3, 7; PG 29, 669.

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